sabato 30 agosto 2008

Basta un Beretta per ridurre i morti sul lavoro.


Marco Bazzoni, attento ed impegnatissimo RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza), mi ha inviato una e-mail facendomi presente il video qui sotto, nel quale Klaus Davi intervista Beretta, direttore generale di Confindustria.
Prima che vediate il video, è bene che vi prepari alle nefandezze che vengono dette. Non voglio avere sulla coscienza rischi di soffocamenti per improvvisi rigurgiti di sdegno.
Ancora una volta si minimizzano le morti sul lavoro. Ancora una volta si fa opera di pura disinformazione strumentale. Di nuovo si torna a ripetere che le morti sul lavoro sarebbero "solo" 500 l'anno ed avverrebbero quasi tutte nel sommerso. Altre 500 morti sul lavoro, avverrebbero nel tragitto casa-lavoro. Le imprese appaiono quasi fondazioni benefiche che oltre a dare lavoro, investirebbero diversi miliardi di euro in sicurezza nei luoghi di lavoro.



Ci vuole una grande faccia tosta, per affermare cose del genere. Per poter beatamente affermare il contrario di quanto i dati ufficiali dicono, bisogna essere ben abituati alla mistificazione e soprattutto bisogna sapere di avere dalla propria parte, gran parte dell'informazione di massa, quella che arriva nelle case anche senza cercare una specifica notizia. Occorre avere in mano il potere di lanciare messaggi subliminali capaci di distorcere la realtà e nel farlo, non fare percepire una certa indifferenza e sottovalutazione del dramma che quotidianamente si produce sul lavoro e nelle case delle famiglie delle vittime.
Beretta - fateci caso - non cita dati precisi. Tanto che i morti sul lavoro, non sono 1.000 ogni anno come il direttore generale di Confindustria afferma, ma un numero di oltre 200 in più. Gli infortuni in itinere (secondo me da considerare giustamente infortuni sul lavoro), avvengono con una percentuale molto più bassa di quanto afferma il dirigente di Confinudustria. Per poter esporre dati così palesemente falsi (e sottolineo falsi), Beretta è costretto a non citare la fonte dei numeri da lui citati.
Ma oltre i numeri, snocciolati con tanta indifferente slealtà da Beretta, ci sono vite reali spezzate. Nei numeri degli infortuni mortali, ci sono famiglie che piangono i propri cari che sono venuti a mancare. Infortuni che però il direttore generale attribuisce al sommerso. Come se il lavoro nero non fosse una pratica adottata anche da aziende affiliate a Confindustria. Ma non mi pare di avere mai sentito o letto, una volta che sia una, di un'azienda che sia stata cacciata dall'associazione degli industriali a causa del lavoro irregolare svolto al loro interno.
Al signor Beretta quindi, chiederei di togliersi la maschera di ipocrisia dietro la quale si nasconde, così da mostrarsi anche lui per quello che è: un padrone.

Di seguito riporto la risposta di Marco Bazzoni a Beretta, dalla quale è possibile leggere quanta falsità ci sia dietro i dati citati dal dirigente di Confinudustria.
Egregio direttore Generale di Confindustria Maurizio Beretta, leggendo la notizia di ieri dell'agenzia Asca "INCIDENTI LAVORO: BERETTA, 500 MORTI L'ANNO MENO DI FRANCIA E GERMANIA", e guardando il video dell'intervista su Youtube "Beretta: Morti sul lavoro, in Italia il 50% in itinere", vorrei dirLe, come ho detto a suo tempo (sempre tramite lettera) al Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che non è assolutamente vero che il 50% degli infortuni mortali sul lavoro sono in "itinere", cioè nel tratto casa/lavoro- lavoro/casa, ma sono molti meno.
Al seguente link era stata pubblicata la tabella con i dati degli ultimi 10 anni sugli infortuni sul lavoro, quindi compresi quelli in itinere (mortali e non:
http://www.inail.it/repository/ContentManagement/node/N670419722/Andamento_storico.pdf

Però adesso, "stranamente", non è più possibile aprire tale tabella. Sarà un caso?!
Comunque, non problem, io mi ero già ricopiato, a suo tempo, i dati sugli infortuni mortali in itinere:

anno 1997 (1392, in itinere 104, con una percentuale del 7,5%),
anno 1998 (1442, in itinere 104, con una percentuale del 7,2 %),
anno 1999 (1393, in itinere 102, con una percentuale del 7,3 %),
anno 2000 (1401, in itinere 53, con una percentuale del 3,8%),
anno 2001 (1546, in itinere 296, con una percentuale del 19,1 %),
anno 2002 (1478, in itinere 396, con una percentuale del 26,8 %),
anno 2003 (1445, in itinere 358, con una percentuale del 24,8 %),
anno 2004 (1328, in itinere 305, con una percentuale del 23 %),
anno 2005 (1280, in itinere 279, con una percentuale del 21,8 %),
anno 2006 (1341, in itinere 266, con una percentuale del 19,8%).

Mentre per quanto riguarda i dati per l'anno 2007, gli infortuni mortali sono stati 1210 (dati provvisori), e quelli in itinere 296, quindi con una percentuale del 24,5%. Quindi ben lontani dal dato fornito da lei del 50 %.
Inoltre, mi suona nuova la cosa, che le imprese investano 12 miliardi di euro in sicurezza sul lavoro, proprio non la sapevo.
Ritornando agli infortuni mortali in itinere, secondo me è giusto che vengano considerati infortuni mortali sul lavoro, perchè un lavoratore non va a divertirsi ma va a lavoro o torna da lavoro. Sembra quasi che la maggior parte della colpa
degli infortuni mortali sul lavoro sia da reputare alle strade e non alle imprese, ma le cose non stanno proprio così caro direttore Beretta.
Inoltre, morire in un cantiere stradale, quello non è un morto sul lavoro?! Infine, come fa a dire 500 morti sul lavoro all' anno, meno che in Francia e Germania?
Basta aprire il rapporto annuale Inail per l'anno 2007, al seguente link:

http://www.inail.it/repository/ContentManagement/node/N1488850399/RappoAnnuale2007%20OK%20(2).pdf

Andare a pagina 12, e leggere cosa c'è scritto nella tabella "Infortuni mortali avvenuti negli anni 2006-2007 per gestione e tipologia di accadimento: nell'anno 2007, c'è scritto, in occasione di lavoro: 874, e non 500!!!
Nell'attesa di una sua risposta, La saluto.

Marco Bazzoni - Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

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venerdì 29 agosto 2008

La stanno dando via, è non si fanno nemmeno pagare

La stanno dando via, è non si fanno nemmeno pagare. Anzi, darla via costerà (meglio, ci costerà) grosso modo un miliardo di euro.
L'operazione che sta portando alla cessione di Alitalia (di cui non è ben chiaro se esistano e quali accordi "sottobanco"), è quanto di più irresponsabile si potesse fare dal punto di vista politico. E', al contrario, quanto di meglio potessero sperare di ottenere gli imprenditori (sic!) che compongono la cordata, che dovrebbe risollevare l'Alitalia.
A leggere i nomi dei principali esponenti che compongono la cordata, non c'è da stare allegri: Colaninno; Tronchetti Provera; Ligresti; Benetton... Tra gli artefici dei peggiori scempi economico-industriali degli ultimi tempi. Ora questi stessi personaggi, che in passato hanno già dimostrato di non tirarsi indietro quando è il momento di fare speculazione, dovrebbero ripulire la compagnia aerea nazionale dalla melma nella quale si trova a nuotare.

E d'altronde le condizioni imposte dal piano denominato Fenice (nome ingannevole), sono chiare. Soprattutto in merito a chi sarà a trarre beneficio dalla presunta rinascita di Alitalia e chi invece ne sosterrà le spese. Ed è facile intuirlo, ogni qualvolta si sente parlare (come in questo caso) di razionalizzazione dei costi, che tradotto vuol dire come al solito, riduzione del costo del lavoro. Come al solito da raggiungere attraverso la riduzione dei salari e degli stipendi ed un aumento delle ore lavorate. Oltre, naturalmente, il taglio di migliaia di posti di lavoro. Si parla di circa 5.000 esuberi solo in Alitalia, ai quali bisogna aggiungere altre diverse centinaia di lavoratori dell'indotto.
In questo quadro, che vedrà la scelta scellerata di riduzione delle linee internazionali, gli speculatori della cordata non saranno sulla barca mentre affonda. Altro che "capitani coraggiosi". Questi imbroglioni avranno la possibilità (prevista nel piano industriale) di abbandonare la nave dopo quattro anni e mezzo, a seguito dei quali avranno realizzato profitti variabili tra il 15 ed 25% di quanto investito. Pensate che mentre staranno a godersi i loro denari, avranno un pensiero per quanti invece si troveranno a nuotare nella merda?
Molti saranno lasciati per strada, nonostante i proclami rassicuranti di esponenti di governo, che ipotizzavano una possibile ricollocazione dei dipendenti Alitalia nelle poste o nella pubblica amministrazione. Ipotesi subito smentita dalla Brunetta della coalizione di governo, che non ne vuole sapere di avere tra i piedi altri 6-7.000 "fannulloni".

E quando tra quattro anni e mezzo, i capitani imbroglioni avranno abbandonato la compagnia aerea, con le tasche pieni di spiccioli, che succederà? Probabilmente la palla sarà passata ad Air France, che si prevede debba entrare già in queso piano con una quota minoritaria. In sostanza si sarà realizzato il piano industriale proposto da Air France prima della caduta di Prodi. Solo che ci saranno molte spese in più per le tasche dei contribuenti e molte, molte più persone per strada e famiglie sul lastrico.
"Missione compiuta" ha esultato Berlusconi. Ha ragione.

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Campagna per la difesa e il rilancio del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro


La pausa estiva è terminata ed a breve riprenderà anche il confronto tra Confindustria ed i vertici di CGIL, CISL e UIL. Si prevede un accordo che sancirà di fatto la fine del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, obbligando i lavoratori a contrattatare individualmente il proprio salario con l'azienda, che saranno ovviamente più deboli nel potere contrattuale, venendo meno il principio solidaristico tra i lavoratori.
La trattativa sui modelli contrattuali, infatti, prevede lo spostamento della centralità del Contratto Nazionale alla contrattazione decentrata, di cui potranno usufruire solo il 20% dei lavoratori. Tanti sono infatti i lavoratori che godono della contrattazione di secondo livello, mentre per il restante 80% dei lavoratori di aziende non sindacalizzate, si prevede un impoverimento in termini economici ed in diritti esigibili.
Ma nonostante la posta in gioco sia altissima e riguardi milioni di lavoratrici e lavoratori, essi non sono stati neppure informati della trattativa in corso, e men che meno è stato chiesto il loro mandato a trattare.
Quello che segue è il testo del volantino/appello lanciato da "Il pane e le rose" e da "Primomaggio" ed al quale ho aderito.
Chiunque condivida il testo del volantino-appello, può sottoscriverlo (come RSU, sigla sindacale o anche individualmente), inviando una e-mail con il proprio nominativo e il luogo di lavoro a pane-rose@tiscali.it. Ma soprattutto, chiunque può contribuire a diffonderlo.
L'obiettivo dell'iniziativa è quello di dar vita ad una vera e propria campagna per la difesa e il rilancio del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, con il coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici, sia privati che pubblici, perchè trasformino il loro dissenso in mobilitazione e promuovano assieme, indipendentemente dalle sigle sindacali di appartenenza, questa campagna, costruendo comitati di lotta unitari e indipendenti dei lavoratori nei posti di lavoro e nel territorio.
Un elenco dettagliato dei materiali sulla controriforma dei modelli contrattuali sul sito del Coordinamento Nazionale RSU

Nel suo discorso di investitura il nuovo presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha esposto le richieste del padronato italiano per la prossima fase: i profitti devono continuare a crescere a discapito dei salari, l’età pensionabile va ulteriormente innalzata, la spesa sociale va tagliata, il contratto nazionale di lavoro va “riformato”.

Il governo Berlusconi ha risposto prontamente varando il DPEF (Documento di Programmazione Economica e Finanziaria) per i prossimi tre anni: una manovra da 35 miliardi che prevede un ulteriore sviluppo delle privatizzazioni e tagli a trasporto pubblico locale, scuola, sanità pubblica. Nella scuola si annuncia il taglio di 100.000 insegnanti e nella sanità la reintroduzione del ticket sulla specialistica. Da parte loro i ministri del lavoro europei, tra cui quello italiano Sacconi, hanno annunciato la volontà di portare l’orario massimo di lavoro fino a 65 ore settimanali.

NEL FRATTEMPO IL 18 GIUGNO È INIZIATO IL CONFRONTO SULLA “RIFORMA” DEL CCNL TRA CONFINDUSTRIA E LE BUROCRAZIE SINDACALI CGIL, CISL E UIL

L’obiettivo fondamentale che il padronato vuole raggiungere con la “riforma” del CCNL è quello di realizzare il controllo totale sulla forza lavoro, frantumare la solidarietà di classe, dividere e indebolire i lavoratori per costringerli a contrattare individualmente il loro salario.

L'obiettivo è quello di subordinare sempre più strettamente il salario al profitto delle imprese: “salario in cambio di produttività” dicono i padroni, ma Italia il tasso di produttività è già altissimo mentre il salario è bassissimo. Infatti i dati pubblicati recentemente dall’OCSE (i 30 paesi industrialmente più sviluppati) dimostrano chiaramente che in Italia il numero di ore lavorate è tra i più alti dell’area OCSE, ma i salari sono tra i più bassi (circa 6000 dollari all’anno in meno della media). Le affermazioni del padronato sono solo chiacchiere per spillare ancora più sudore e per riempirsi sempre di più le tasche.

Mettere in discussione il CCNL significa, per cominciare, abbandonare a sé stessi i lavoratori delle imprese piccole e medie (e anche di tante imprese più grandi) che non hanno la contrattazione di secondo livello (in Italia solo il 20% dei lavoratori ce l’ha) o non hanno la forza di realizzare accordi accettabili (e oggi che è sempre più difficile strappare accordi decenti il CCNL rappresenta un minimo di tutela per il salario e i diritti).
Significa dare il via libera alle “gabbie salariali” cioè al fatto che due operai che fanno lo stesso lavoro in due posti diversi hanno due salari e due “diritti” diversi.

E quando si sarà consumata definitivamente la rottura della solidarietà tra lavoratori (italiani contro immigrati, vecchi contro giovani, sud contro nord, privato contro pubblico, garantiti contro precari…) chi avrà vinto? Ogni lavoratore sarà solo. Solo e debole di fronte al singolo padrone e alle associazioni dei padroni e allora la sua ulteriore costrizione al lavoro coatto sarà inevitabile. Così come sarà inevitabile la schiavizzazione dei propri figli. E che razza di uomo è quell’uomo che non lotta e preferisce fare la “cicala” con i diritti e la dignità dei propri figli?

Invece di opporsi a questa situazione il 12 maggio scorso i vertici CGIL-CISL-UIL hanno approvato un documento nel quale si dà il via libera alla revisione dei già pessimi accordi del luglio 1993 con un accordo per la “riforma del modello della contrattazione” che ridurrà il contratto nazionale di lavoro a pura formalità spostando tutto il peso della contrattazione sul secondo livello (decentrato), ovviamente per chi ce l’ha.

Cosa riceverebbe il sindacato, in cambio della propria disponibilità ad andare incontro alle richieste del padronato? Una riforma della rappresentanza nei luoghi di lavoro che legherebbe ancora di più i delegati alle segreterie e impedirebbe loro di assumere posizioni diverse da quelle dei vertici, anche se approvate dai lavoratori. Un’ulteriore riduzione della già pochissima democrazia che c’è nei luoghi di lavoro.

20 ANNI DI ATTACCO AL SALARIO E AI DIRITTI DEI LAVORATORI

Sono oltre 20 anni che i lavoratori sono sotto attacco: prima la riduzione di 4 punti l'indennità di contingenza, la Scala Mobile, per mano dell'attuale ministro Renato Brunetta, allora socialista (1984), poi l’abolizione della “scala mobile” (governo Amato 1992), poi gli accordi sulla flessibilità (Ciampi 1993), poi la controriforma delle pensioni (Dini) nel 1995, poi il pacchetto Treu (Prodi 1997), poi l’attacco al diritto di sciopero (D’Alema 1999), poi la legge 30 (Berlusconi 2002), poi lo scippo del TFR verso i fallimentari fondi pensione integrativi attraverso la truffa del silenzio-assenso (Berlusconi 2006 - Prodi 2007), poi i protocolli sul welfare per aumentare l’età pensionabile e allungare la precarietà (Prodi 2007). Ora l’attacco frontale al CCNL.

Tutti questi passaggi sono stati “concertati” dai padroni, dai vari governi e dalle burocrazie CGIL-CISL-UIL spesso con l’appoggio di tutti i partiti, di destra come di “sinistra” (compresi quelli della sedicente “sinistra radicale”). E’ sempre più chiaro che nei parlamenti e nelle segreterie sindacali i lavoratori non hanno amici.

Con l'indebolimento del Contratto Nazionale ogni anno una percentuale sempre più alta della ricchezza prodotta è stata tolta ai salari dei lavoratori e regalata ai profitti dei padroni.
Nel 1983 il 77% della ricchezza prodotta (il PIL) andava ai salari e il 23% ai profitti, nel 2005 ai salari va meno del 69% mentre ai profitti oltre il 31%. L'8% del PIL in più ai profitti rispetto a vent'anni fa. Una cifra pari a 120 miliardi di euro. Che significa 5 mila 200 euro del salario di ogni lavoratore. E questo ogni anno, tutti gli anni.

Ma questo furto continuo non sazia la fame degli industriali e dei pescecani della finanza, che dopo aver derubato i lavoratori del TFR e delle pensioni, ora vogliono ridurre ulteriormente i salari, e con questo obiettivo tentano ogni giorno di aizzare i lavoratori contro i loro fratelli di classe immigrati per distoglierli dai loro veri nemici: padroni, sindacati di regime, partiti-casta. Ai padroni che vogliono dividere per meglio comandare va risposto con forza che tra i lavoratori non ci sono stranieri e che l'unico straniero è il capitalismo.

DIFENDERE E RILANCIARE IL CONTRATTO NAZIONALE DI LAVORO

Sulla difesa del CCNL sono in gioco il salario e i diritti per i prossimi venti anni.
Tutto è nelle mani dei lavoratori. Dissentire non basta, è necessario mobilitarsi, informare tutti e tutte, prendere la parola nelle assemblee, contestare i sindacati venduti (come hanno fatto i lavoratori di Mirafiori, di Melfi, di Arese, di Pomigliano), costruire assieme la campagna per la difesa e il rilancio del Contratto Nazionale di Lavoro, costruire comitati di lotta unitari e indipendenti dei lavoratori nei posti di lavoro e nel territorio, per fare della difesa del CCNL una questione sociale, per una nuova stagione di lotte salariali e sociali.

Veneto, Luglio 2008

Il Pane e le Rose
foglio di collegamento tra i lavoratori

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Redazione veneta di Primomaggio
foglio per il collegamento tra lavoratori, precari e disoccupati

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Assemblea dei Lavoratori autoconvocati
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Delegati/e che si riconoscono nel movimento: per un “Coordinamento Nazionale delle RSU”
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Cobas sanità Venezia


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giovedì 28 agosto 2008

Anche l'operaio vuole il figlio dottore. Non c'è più morale, ministro Gelmini

Non c'è governo, da almeno tre lustri ad oggi, che non si sia occupato della riforma della scuola. Anche la ministra Gelmini non ha voluto essere da meno e per esporre il proprio programma, non poteva scegliere platea più accomodante per lei che quella del meeting di Comunione e Liberazione.
In due parole, il grosso della proposta sta nel voler trasformare tutte le scuole, comprese quindi quelle statali, in fondazioni di diritto privato ed essere regolamentate come tali. In questo modo, le scuole potrebbero incassare finanziamenti da privati, che ovviamente determinerebbero le scelte scolastiche a proprio uso e consumo, pena la chiusura dei "rubinetti". Scuole-aziende con CdA al posto dei consigli scolastici, dove gli studenti non sarebbero altro che la materia prima da trasformare in un processo aziendale che produce lavoratori sempre più precari e funzionali al mercato del lavoro.

Perciò, quando si parla di riformare il sistema scolastico, non si sta parlando semplicemente della scuola. Non ci si riferisce semplicemente al numero di insegnanti, non è solo il sette in condotta, non è solo il grembiule, non è solo una questione di spesa. E' tutte queste cose. Ma è anche e soprattutto di una visione di società che si sta parlando.
Anche la ministra Gelmini, donna in carriera folgorata sulla via di Arcore, avvocato che non ha mai messo piede in una scuola in qualità di insegnante, che di insegnamento non saprebbe di cosa parlare, che di pedagogia ne conosce quanto me in materia di fisica dei sistemi complessi; anche lei, dicevo, sa bene che quando parla di riforma della scuola, non sta trattando un tema che inizia e si esurisce nelle aule scolastiche.

Quando la ministra Gelmini espone ad un pubblico di ciellini la riforma scolastica alla quale si vuole cominciare a dare corso, è della sua visione di società che sta parlando, e di quella di questo governo, e delle oligarghie politiche, economiche, istituzionali. E come comunemente immaginano la società questi poteri? Immaginano una società nella quale i ricchi possono frequentare scuole di eccellenza, mentre tutti gli altri sono destinati a frequentare scuole ed università dequalificate.
Sostanzialmente, chi appartiene ad una classe agiata è destinato, se vuole, a ricoprire ruoli dirigenziali, mentre chi appartiene alla massa è relegato alla produzione della ricchezza dei primi. A questo punto la Gelmini replicherebbe che la scuola a cui aspira, è fatta di docenti ed alunni che avanzano sulla base di criteri meritocratici.

E', il discorso della meritocrazia, il cavallo di Troia attraverso il quale si tenta in diversi ambiti di abbattere quel che rimane dello stato sociale. Non ha senso parlare di meritocrazia quando le condizioni di partenza non sono le stesse. Sarebbe come se un centometrista si dicesse più veloce del suo avversario perchè primo al traguardo, ma non si tenesse conto che quello stesso atleta è partito da blocchi di partenza spostati in avanti di 50 metri.
"Del resto mia cara di che si stupisce, anche l'operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente che può venir fuori. Non c'è più morale, Contessa."
E' la strofa di una canzone che si cantava a cavallo tra la fine del '60 e gli inizi degli anni '70. A quaranta anni di distanza da quando fu composta, quella canzone che si chiama Contessa, potrebbe ancora essere intonata senza nemmeno apparire nostalgici.

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Non saranno mai stati di questo mondo

Qualcuno di loro proveniva dall'Eritrea, terra ricca di risorse ma con una estrema povertà diffusa nella popolazione. Altri venivano dalla Somalia, da decenni interessata a guerre che hanno causato la morte e l'esodo di milioni di persone. Altri ancora si erano messi in viaggio dal Ghana, dove la speranza di vita è di meno di 60 anni alla nascita. Alcuni di loro provenivano dal Sudan che versa in condizioni che la Comunità Internazionale ha definito "la più grave situazione umanitaria esistente".

I loro Paesi sono stati in conflitto, provocando genocidi e miseria. Le loro terre sono spesso sfruttate da multinazionali senza scrupoli del ricco Nord del mondo. I potenti governi delle forti nazioni occidentali, fingono aiuti prestando denaro e chiedendo in cambio la rinucnia alla loro indipendenza politica ed economica. Le terre dalle quali provenivano hanno tradizioni diverse, lingue diverse, culture diverse. Ma loro, donne, uomini e bambini naufragati al largo nelle acque maltesi, avevano in comune il sogno di una vita migliore. Con quel sogno si erano imbarcati in 78 su di un gommone partito dalla Libia e diretto in Italia.
Solo in 8 sono riusciti a salvarsi, ma il loro sogno è naufragato in mare, disperso insieme a 70 persone che ingoierà oltre che i corpi dei naufraghi, anche le esistenze di quelle persone.

Forse qualche motovedetta riuscirà a recuperare qualche corpo e magari qualche peschereccio tirerà sù con le sue reti, piccoli cadaveri insieme al pesce pescato. Forse il mare tra qualche giorno sputerà qualcuno dei 70 corpi che ha inghiottito. Ma con ogni probabilità di nessuna di quelle persone si saprà mai il nome, nè la nazionalità. Nè quelle 70 persone avranno una tomba, di nessuna di loro si conosceranno le storie. Persone che non saranno mai esistite. Persone che non saranno mai state di questo mondo.
Quelle 70 persone morte naufraghe in mare, insieme agli 8 superstiti di quella maledetta travesata, avranno solo fatto parte dell'emergenza immigrazione di questa estate.

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sabato 23 agosto 2008

Un fatto di cronaca nera in Svizzera, preso l'omicida: è un "extracomunitario".

Certe volte capita alcune nostre convinzioni, seppure poggino su basi solide, vengano fatte traballare da fatti di cui capita di venire a conoscenza, attraverso internet, la TV, i giornali ed anche voci di strada.
Tanti si dicono convinti ad esempio, che tra gli extracomunitarici ci siano persone perbene e persone che delinquono. Come in ogni popolazione del mondo. Vero. Certamente perciò, non è giusto criminalizzare intere comunità, solo perchè pochi elementi di quelle comunità commmettono reati.
Però poi, come dicevo sopra, si leggono di fatti di cronaca che provocano l'istinto umano, generano rabbia. Questa rabbia è cavalcata dai media e spesso la politica approfitta di quella tensione sociale, per varare provvedimenti che si abbattono contro intere comunità, senza distinzioni. E' capitato in Italia con provvedimenti contro i romeni prima e contro i rom poi.
Questa mattina vengo a sapere di un fatto di cronoca accaduto in Svizzera, che ha visto coinvolti alcuni extracomunitari. Come al solito, direbbe qualcuno, già lo immagino. Già mi pare di sentirne le voci. Ma vabbè. Rimaniamo al fatto di cronaca, per cercare di avere un atteggiamento più distaccato.
L'episodio è accaduto a Losone, un comune del Canton Ticino in Svizzera. Lì un "extracomunitario" di 45 anni, già pregiudicato per un assalto ad un ufficio postale in Italia, ha ucciso con un colpo di pistola un uomo di nazionalità turca e ferito il fratello di quest'ultimo. L'omicida ha fatto poi perdere le sue tracce, aiutato da quattro suoi connazionali.
Personalmente, nonostante l'ennsimo fatto di cronaca attribuito ad "extracomunitari", di cui i giornali non mancano mai di portarci a conoscenza, rimango della mia opinione: non bisogna criminalizzare intere comunità, per le responsabilità di singole persone. Mi auguro quindi, che la Svizzera non voglia prendere provvedimenti xenofobi contro l'intera comunità di italiani presenti nel Canton Ticino. L'assassino, infatti, si chiama Antonio Barbieri. E' originario di Cannobio. E' un "extracomunitario" in Svizzera?!

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venerdì 22 agosto 2008

Il professore, non trovando di meglio da dire, rivolgendosi alla classe, fece: "Ragazzi ... fate attenzione agli estremisti"


Ricordo che un giorno di tanti anni fa a scuola, un professore candidato per le elezioni amministrative mi chiese: "Crocco, tu darai il voto al tuo professore?". La domanda non era rivolta ad un alunno a caso. Era rivolta a me, alunno studioso ma "polemico". Che cercava lo scambio di opinioni ed alimentava il dibattito. Senza temere di esprimere le proprie idee ed i propri ideali, evidentemente di sinistra. La risposta fu, più o meno testualmente: "Non ho ancora l'età per votare. Ma comunque, no! Non le darei mai il mio voto. Io sono comunista ed i nostri ideali di società sono troppo distanti".
Ricordo che a quella mia risposta netta e chiara, verso un insegnante che ricordo essere fiero di sè, dagli atteggiamenti severi e sicuri ed avaro nei voti, la classe rimase silenziosamente sorpresa. Il professore, che pur conoscendomi forse si aspettava una risposta più diplomatica, non trovando di meglio da dire, rivolgendosi alla classe, fece: "Ragazzi ... fate attenzione agli estremisti".
L'argomento elezioni si chiuse così. Senza che si potesse dire a cosa aspiravo, cosa lui proponesse, cosa io mi aspettassi dalla politica e cosa lui contestasse ai miei ideali. Semplicemente l'argomento si concluse con un postulato: l'estremista lì dentro ero io e fuori da quella scuola chi la pensava come me.

Mi è tornato in mente questo episodio, leggendo quanto accaduto a Catania, con un ragazzo allontanato dalla madre perchè iscritto a Rifondazione Comunista, e leggendo un'intervista a Nadia Urbani su Liberazione, che parla di una "Italia docile che accetta tutto senza alcun dissenso".
Di fatto il terreno è stato molto ben preparato, con messaggi ripetuti e diffusi in massa, che tendevano a marginalizzare il dissenso. Dalla scuola agli organi di informazione, chi proponeva altre soluzioni rispetto a quelle acquisite come perbene, veniva etichettato come pericoloso. Dalle occupazioni di scuole e università, fino alle proteste per i rifiuti in Campania, passando per il G8 genovese del 2001, ogni forma di opposizione alle decisioni prese è stata classificata come pericolosa e chi esercitva il proprio diritto al dissenso giudicato come elemento estraneo ad una società che vuole crescere.
Alla lunga, il dissenso lascia spazio all'omologazione e la partecipazione fa posto all'individualismo. E' la destrutturazione della democrazia che il berlusconismo sta portando all'esasperazione e che l'attuale opposizione politica insegue. Di fatto la democrazia è ridotta a mera partecipazione elettorale passiva. Apporre una croce su un simbolo ed infilare una scheda in un'urna, anzichè essere la conclusione di un processo politico, diventa allo stesso tempo il suo inizio e la sua fine.

Può allora facilmente prendere corpo la criminalizzazione di ogni forma di protesta, di ogni pensiero fuori dai canoni del mero consumismo, di ogni diversità dalle forme culturali omologate. Il dissenso è rimasto soffocato, alternative al pensiero dominante non se ne vedono e ci si affida all'uomo della provvidenza di turno. Si può allora credere che è l'immigrato la causa del lavoro che manca. Si può essere contro l'islam senza conoscerlo. Ci si può definire di destra e leghisti, perchè sì e basta. Senza vedere che le condizioni di disagio economico, di riduzione dei diritti, di condizione sociale, sono comuni all'immigrato ed all'italiano, al musulmano ed al cattolico, al gay ed all'etero.
Se esiste una via d'uscita, credo sia nella riproposizione del dissenso. E' difficile, lo so. Non fosse altro che per l'atomizzazione sociale che si è sviluppata. Ma la dura condizione sociale ed il deficit democratico attuali, potrebbero essere fattori unificanti.

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giovedì 21 agosto 2008

Tra pochi giorni sarò padre ... di un piccolo potenziale pericoloso estremista?

Tra pochi giorni sarò padre. Non so come sarà mio figlio. Non so dire come sarò come padre. Nè mi pare sappia mia moglie, come sarà da madre. Posso solo dire quello che mi piacerebbe poter essere per mio figlio. E posso dire come vorrei crescesse mio figlio.
Mia moglie ed io ci siamo fatti molte promesse, su tanti aspetti della futura vita di nostro figlio. Lo porteremo in piscina appena possibile. Gli leggeremo qualche libro. Ascolteremo insieme un po' di buona musica. Usciremo a giocare. Lo porteremo a giocare con i suoi amichetti e cercheremo il dialogo sempre. Ma poi farà le sue scelte, che mi rendo conto saranno condizionate (volente o nolente) della visione del mondo mia e di mia moglie.
Farà le sue scelte, ma vorremmo fossero orientate al rispetto dell'altro, alla comprensione ed all'ascolto, allo scambio culturale. Senza timori insensati ed ingiustificati. Uno scambio razionale ed umano, senza dare fiato alle paure che vorranno costruirgli intorno.
Farà le sue scelte, ma certo cercheremo di fargli capire che nel mondo esistono poche persone che detengono quasi tutta la ricchezza del pianeta, lasciando che la stragrande maggioranza degli esseri umani si facciano la guerra per arraffare le briciole che i ricchi e potenti della Terra concedono ai poveri.
Farà le sue scelte, ma speriamo intanto essere in grado di spiegare a nostro figlio che per godere di quelle ricchezze, una parte del mondo sta portando alla rovina il pianeta che abitiamo. E ci auguriamo di potergli fare capire, che questo mondo è abitato in maniera diversa da ricchi e da poveri, da potenti e da sudditi.
Farà ovviamente le sue scelte, ma lo inviteremo a non essere indifferente. Ci auguriamo che un giorno, citando Gramsci dica: "Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti."
Tra pochi giorni sarò padre. Non credo di un piccolo potenziale pericoloso estremista. Ma semplicemente di un bambino che crescendo, spero voglia credere nella possibilità di un altro mondo possibile. E che voglia contribuire a costruirlo, insieme ad altri.

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venerdì 15 agosto 2008

C'è chi lavora anche oggi. Anche oggi c'è chi rischia sul lavoro.

Oggi sono in vacanza, come tanti. Non come tutti. C'è chi anche oggi è al lavoro. C'è chi anche oggi mette a rischio la propria vita e la propria salute, per portare a casa il pane.
Mentre sto leggendo il libro "Morti bianche" di Samanta Di Persio, mi torna in mente questa mini fiction che avevo già avuto modo di vedere, che ho rivisto su You Tube e che riporto qui ...



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giovedì 14 agosto 2008

"Ecco un caso di certezza della pena", direbbe qualcuno. Siamo sicuri?

"Ecco un caso di certezza della pena", direbbe qualcuno. Siamo sicuri? Il caso riguarda Alì Juguri, 42enne iracheno. Era stato arrestato in Italia per il aver tentato il furto di un telefono cellulare. Per questo era stato condannato ad un anno e tre mesi di reclusione ed aveva cominciato a scontarlo nel carcere milanese di San Vittore. Per "sfollare" quel carcere sovraffollato, Alì Juguri era stato trasferito nel carcere di Vasto e quindi in quello de L'Aquila.
Alì Juguri ha sempre reclamato la sua innocenza e nonostante in Italia il codice penale preveda la condizionale, per le condanne di incensurati a reclusioni inferiori a due anni, questo signore iracheno è finito in cella. Dopo un processo nel quale era stato assistito da un avvocato d'ufficio, che non deve avere preso molto a cuore la sua vicenda, visto che nessuna misura alternativa è stata prevista per lui.

La storia di Alì Juguri mi è passata molto vicino. Mi ha quasi sfiorato essendo passato Alì, nel carcere della mia città (Vasto) e poi in quello del capoluogo della mia regione (L'Aquila). E mentre era dalle parti in cui vivo, Alì aveva già cominciato uno sciopero della fame, che poi lo ha condotto alla morte. Ma i giornali non si interessano di casi come quello di Alì. C'era da interessarsi dei guai giudiziari del presidente della regione Abruzzo Del Turco, del quale ci si è scandalizzati per il regime di finto isolamento al quale era costretto. Si scriveva delle richieste degli avvocati di Del Turco, di concessione di arresti domiciliari e si intervistavano suoi paesani che sembravano tutti concordi nel ritenerlo innocente.
Alì invece, che non conosceva bene la lingua italiana, non ha trovato alcuna voce che potesse parlare al posto suo. Nessuno si è stracciato le vesti per fargli ottenere quanto in diritto gli spettava. Nessuno che si sia interessato a lui, straniero in Italia per il quale non valgono i diritti. Se sei uno straniero povero in Italia, hai il solo dovere di obbedire alle leggi e di sottometterti alle pulsioni xenofobe dell'opinione pubblica.

E allora cosa poteva fare Alì, se non usare l'unico mezzo di protesta a sua disposizione: il proprio corpo? Lo ha usato, quel suo corpo, fino a consumarlo. Fino a quando il suo corpo non ha cominciato a nutrirsi di se stesso. Fino ad uccidersi. Fino a lasciarsi morire nella più indecente indifferenza di un sistema carcerario, giudiziario, burocratico e politico, che dispensa doveri e concede diritti in base all'etnia, alla religione, alle condizioni personali e sociali.
"Ecco un caso di certezza della pena", direbbe qualcuno. Siamo sicuri? Siamo sicuri che non sia invece, l'ennesimo caso di incertezza della giustizia?

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lunedì 11 agosto 2008

Risposta a Confindustria, da parte della sorella di una vittima della strage della Umbria Olii: "Le nostre urla di giustizia le avete accolte?"


Qualche giorno fa, Confindustria Perugia era intervenuta nella vicenda Umbria Olii con un comunicato stampa. In quel comunicato, Confindustria prendeva chiaramente le difese del presidente di Umbria Olii, Del Papa considerato quasi un benefattore. Come sempre l'associazione degli industriali si guarda bene dal prendere posizione contro i suoi associati, il che la dice lunga su quale tipo di attenzione pone nei confronti degli infortuni sul lavoro e delle morti sul lavoro.
In risposta a Confindustria è intervenuta Lorena Coletti, sorella di una delle vittime della strage delle Umbria Olii ...
Rispondo alla lettera della Confindustria di Perugia sulla vicenda Umbria Olii.
Sono la sorella di una delle vittime di Campello, il mio nome e' Lorena Coletti, ho letto la vostra lettera molto attentamente.
Avrei da chiedervi tantissime cose, ma vorrei dirvi che noi non abbiamo bisogno della vostra solidarietà, ora che i nostri cari non ci sono più, ma ne avevamo bisogno prima che succedesse l'incidente, in modo che mio fratello era ancora in vita.
Voglio chiedervi alcune cose: volete che il signor Del Papa continui a fare il suo lavoro, avete accolto la lettera dei dipendenti della Umbria Olii, mandata dal coordinatore dei dipendenti Cristina Bravi, e tutto questo mi sta pure bene, ma la
lettera che ha scritto Giorgio Del Papa, che diceva che non poteva fare i lavori per l'ottobre del 2006, perche' doveva fare la bonifica dei silos l'avete letta? Le nostre urla di giustizia le avete accolte? Le urla della moglie di mio fratello fatte il 19/07/008 alla fiaccolata le avete accolte? Perche' chi ha colpe sta tentanto in tutte le maniere di non averne e chi soffre non viene mai sentito? Ma la Confindustria si e' mai chiesta che cosa c'era dentro a quei silos? La Confindustria si è mai presa la briga di controllare se era tutto in regola alla Umbria Olii? Inoltre, la Confindustria si è mai presa la briga di sapere se quelle operazioni andavano fatte con la presenza dei vigili? La Coinfindustria si è presa la briga
di salvare la vita a quelle quattro persone? Non credo, perchè se fosse stato così erano ancora in vita.
Adesso mi venite a parlare che Del Papa è un uomo che ha fatto sempre del bene per Spoleto e la regione Umbria. Secondo voi chi deve pagare la morte degli operai? E perchè parlate sempre di soldi, e non di queste stragi sul lavoro? Potrei continuare fino all'infinito, ma tanto so che non risponderete alle mie domande o forse Vi limitate a dirmi che devo avere fiducia nella giustizia.
Ma ci sarà mai questa giustizia, o si sta prendendo tempo per far si che qualcuno la scampi?

Lorena Coletti


Riporto inoltre la lettera che Marco Bazzoni (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) chiede venga pubblicata, in risposta al comunicato stampa di Confindustria Perugia. Marco Bazzoni riporta Confindustria alla realtà dei fatti, fuori da ogni schema demagogico nel quale l'associazione degli industriali continua a muoversi.
Spett.le Confindustria di Perugia,
ho letto molto attentamente il vostro comunicato sul disastro alla Umbria Olii, dove difendete a "spada tratta" la Umbria Olii e il suo amministratore delegato Giorgio Del Papa.
Vorrei ricordarVi che i mezzi d'informazione stanno facendo solo il loro dovere parlando di questa strage, dove hanno perso la vita tragicamente quattro operai, morti carbonizzati nell'esplosione. Non c'è nessun processo mediatico in corso, e
voglio ricordarVi che per un anno e mezzo di questa strage non si è parlato più sui mezzi d'informazione. Solo la vergognosa richiesta di risarcimento danni di ben 35 milioni di euro fatta dalla Umbria Olii ai familiari delle vittime, ha fatto si che i riflettori si riaccendessero.
Nel vostro comunicato dite una cosa sacrosanta: "Se Del Papa, nell'esercizio delle sue funzioni di Presidente, ha commesso errori o violazioni delle norme, queste responsabilità dovranno essere accertate esclusivamente dagli organi competenti nelle sedi deputate". Però questa cosa qui la dovreste dire anche a Giorgio Del Papa, che non mi sembra abbia la vostra stessa fiducia nella giustizia, dato che
ha ricusato il Gup a 8 giorni dall'udienza dell'11 luglio (sapendo che la Procura di Spoleto l'avrebbe quasi sicuramente rinviato a giudizio), ha denunciato i periti del tribunale che avevano redatto una perizia a lui avversa, e l'assicurazione Unipol che ha liquidato i quattro lavoratori morti assolvendoli da qualsiasi responsabilità.
Per quanto riguarda le lettere dei dipendenti della Umbria Olii, sia io, che alcuni familiari delle vittime di Campello, abbiamo chiesto più volte se quelle lettere fossero firmate da tutti i dipendenti, dato che inizialmente erano anonime, cioè firmate solo come "i dipendenti della Umbria Olii", e non si capiva se erano firmate da tutti, o solo da alcuni. Solo dopo che abbiamo fatto notare questa cosa, le lettere sono iniziate ad essere firmate da una certa Sig.ra Cristina Bravi, coordinatore dei dipendenti della Umbria Olii.
Abbiamo chiesto più volte, se la sig.ra Bravi per coordinatore dei dipendenti, intendesse un direttore del personale, un responsabile del personale, o se più semplicemente se era lei che scriveva a nome dei dipendenti, ma non abbiamo avuto risposta. L'unica cosa che ci è stata detta è questa: che i comunicati non contenevano la firma di tutti i dipendenti della Umbria Olii per la privacy, e che se volevano le firme, queste erano depositate presso la sede della Umbria Olii.
Sempre facendo riferimento ad una delle lettere dei "dipendenti della Umbria Olii", riportata nel vostro comunicato, in cui si afferma: "hanno riconosciuto all'azienda un comportamento sempre corretto nei confronti dei lavoratori e del mercato, e un'attenzione particolare alla sicurezza del lavoro e alla difesa dell'ambiente
per i quali sono stati fatti investimenti considerevoli", vorrei dire che se quell'attenzione particolare alla sicurezza sul lavoro ci fosse stata, quei quattro operai sarebbero ancora vivi.
Del Papa sapeva benissimo che quei silos contenevano un gas altamente esplosivo (esano), quello che mi domando è questo: aveva avvertito la ditta Manili di questo pericolo? Io ho molti dubbi i merito, perchè non credo che quegli operai avessero saputo che stavano lavorando sopra a dei silos che potevano esplodere in ogni momento se a contatto con qualcosa di infiammabile. Se l'avessero saputo, sono sicuro al 100% che non si sarebbero trovati a lavorare lassù.
Infine, se Del Papa è sicuro al 100% di essere innocente, di aver attuato tutte le misure di sicurezza, si lasci processare, smettendola di ricusare giudici, denunciare periti del tribunale e assicurazioni, bloccando di fatto il processo in corso (la Cassazione dovrà decidersi sulla ricusazione, quindi se il processo dovrà restare a Spoleto, o se dovrà essere trasferito in altra sede), e rallentando l'accertamento della verità.

Marco Bazzoni - Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza

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venerdì 8 agosto 2008

Lettera aperta al sottosegretario Roberto Castelli

Marco Bazzoni (RLS) mi ha inviato questa una e-mail che è di fatto una lettera indirizzata al sottosegretario Castelli. L'argomento è le morti sul lavoro, che l'onorevole (?) Castelli ha trattato con sufficienza e soprattutto con totale assenza di rispetto, per le centinaia di morti ammazzati sul lavoro ogni anno e per il dolore lacerante di chi a quei lavoratori riservava il proprio amore.

Caro Sottosegretario alle Infrastrutture Roberto Castelli, Lei parla delle morti bianche: cosa c'è di bianco non l'abbiamo ancora capito.
Le chiamano morti bianche, come avvenissero senza sangue, sono morti inopportune, che spesso avvengono quando l'informazione è già impegnata in altri eventi.
Chi Le scrive è un gruppo di persone molto sensibile al tema della sicurezza sul lavoro.
Alcuni di noi hanno perso anche un loro caro sul lavoro.
Senatore Castelli, si rende conto che Lei ha detto, che le statistiche sulle morti sul lavoro sono "fasulle"? Inoltre Lei aggiunge: "se estrapoliamo gli incidenti che avvengono in agricoltura e in edilizia, vedremo che in Italia la sicurezza delle aziende manifatturiere è ai migliori livelli europei". Ma chi lavora in un campo e muore, quella non è una morte sul lavoro?! Chi cade da un'impalcatura e muore, quella non è una morte sul lavoro?! Tanto per ricordarglielo, agricoltura e edilizia sono i settori dove ci sono il maggior numero di morti sul lavoro.
Si e' mai provato a mettere nei panni di qualche vedova che consuma il marciapiede per andare al cimitero? Sa cosa significa per un figlio, vedere il padre che parte la mattina per andare a lavoro e non vederlo più ritornare a casa, perchè è rimasto ucciso sul lavoro? Ci chiediamo se nella sua famiglia ci sono degli operai, ma non crediamo che c'è ne siano, altrimenti non avrebbe parlato in questa maniera.
E' facile parlare in questo modo di chi lavora e fa sacrifici per arrivare a fine mese.
Facciamo una cosa, perchè non prova ad andare a lavorare in una fabbrica, alla ferrovie, in un cantiere, in agricoltura, al posto di qualsiasi operaio, almeno si rende conto di cosa vuol dire?! Si accorgerebbe che la vita di una persona che lavora e fa sacrifici è ben altra cosa ...
Inoltre, non sono morti "fasulle" , ma sono morti di chi parte la mattina per portare un pezzo di pane ai figli, di chi va a lavorare sperando che i propri figli abbiano un futuro migliore di quello dei propri genitori.
Infine, siamo concordi con quanto dice Luigi Agostini, membro del Cda dell'Inail, nel suo articolo pubblicato sul sito di Articolo21, del quale riportiamo sono alcune frasi "Mi aspetto che alle accuse di Castelli all’Inail risponda direttamente l’Istituto.....Pensare che dietro i dati dell’Inail si nasconda una sorta di “imbroglio” è tipico di una certa cultura, che se dovesse farsi strada, potrebbe mettere a serio rischio ogni dato oggettivo che dovesse rendersi noto da parte di una qualunque Istituzione. Peraltro, essendo il nuovo Presidente dell’Inail indicato dalla stessa Lega Nord, Castelli avrebbe modo di fugare ogni dubbio parlando con il Dott. Sartori.....Non vorrei, conclude Agostini, che gli attacchi mirati al DL 81/2008 e al Testo Unico sulla Sicurezza da una parte, e all’Inail dall’altra, abbiano come obiettivo la drastica riduzione di tutele e la funzione dell’Inail a una mera agenzia assicurativa, tutto il resto privatizzato e in mano ai soliti pochi noti"
Saluti.

Marco Bazzoni-Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
Lorena Coletti-Sorella di Giuseppe Coletti, morto sul lavoro il 25 novembre 2006 alla Umbria Olii di Campello sul Clitunno.
Michele Pietrelli-ABG Perugia, Comitato CAAL
Andrea Bagaglio-Medico del lavoro.
Alessandra Arezzo-Mediatrice culturale di Roma.

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giovedì 7 agosto 2008

"L'operazione verità" di Castelli sulle morti sul lavoro: le famiglie delle vittime sono truffatrici

Brutti cattivi truffatori. Vedove meschine di operai caduti da impalcatura. Perfidi orfani di lavoratori schiacciati da una pressa. Da oggi, voi imbroglioni, disonesti superstiti di morti ammazzi dal lavoro, non avrete più vita facile. Parola di Roberto Castelli, sottosegretario alle Infrastrutture leghista. Quel cervello verde (forse perchè ammuffito?) del sottosegretario di questo governo Berlusconi, dice che i dati sui morti sul lavoro sarebbero manipolati, per fare ottenere risarcimenti assicurativi anche alle famiglie di quei lavoratori che perdono la vita sulla strada, per andare o tornare dal lavoro. Perciò Roberto Castelli è pronto a fare «un'operazione verità». Perchè, dice Castelli, «soltanto in Italia si contano come morti sul lavoro, al fine di poter dare benefici assicurativi da parte dell'Inail, anche le morti che avvengono per incidenti stradali capitati mentre si va al lavoro o mentre si torna a casa dopo il lavoro. Morti che evidentemente nulla hanno a che vedere con la sicurezza in fabbrica». Perciò, continua il sottosegretario, «è il momento di smetterla di criminalizzare gli imprenditori italiani. Se infatti estrapoliamo gli incidenti che avvengono in agricoltura e in edilizia, vedremo - conclude Castelli - che in Italia la sicurezza delle aziende manifatturiere è ai migliori livelli europei».

Quindi, l'"operazione verità" di quel genio di Castelli, parte da una lettura dei dati a proprio uso e consumo, sottraendo dal conteggio dei morti ammazzati sul lavoro, quelli caduti in edilizia ed agricoltura, cioè i due settori produttivi a maggior rischio. Come dire che se dal conteggio dei voti presi alle ultime elezioni politiche sottraessimo quelli andati a questa destra leghista, populista e un po' fascista, ora saremmo un Paese un po' più serio, con governanti che assumono come prioritari gli interessi generali del Paese, anzichè quelli particolari di chi detiene già il potere economico e politico. Ma purtroppo l'impossibilità di sottrarre quei voti, la constatiamo ogni giorno nelle nostre vite. Così come le famiglie delle vittime del lavoro, sentono il dolore lacerante per le vite spezzate dei loro cari. Quelle vite spezzate dal lavoro sempre più stressante e da una produzione a cui i ritmi gli sono sempre insufficienti, non possono essere recuperate con una sottrazione.

E proprio quei ritmi disumani imposti alla produzione, la sempre maggiore flessibilità imposta, la riduzione dei costi come unica strada per incrementare i profitti delle imprese, ha portato a quella catena di sub-sub-sub-appalti, che di fatto ha permesso l'esternalizzazione del rischio. Una miriade di lavoratori di microimprese percorrono le strade, più volte al giorno, per consegnare i prodotti "just in time", anche a costo di lavorare nove, dieci, dodici ore al giorno. Il rischio si è spostato nei percorsi di mobilità, perchè anche i magazzini sono costi per le imprese.
E si è spostato anche nelle strade, pure perchè con l'arma della precarietà in mano padronale, sempre più i lavoratori si trovano costretti a percorrere il tragitto casa-lavoro, con la stanchezza accumulata in ore e ore di straordinari a ritmi insostenibili.

Sono quei ritmi di lavoro ad uccidere. Le strade sono diventate i luoghi dove si annidano i rischi di morte sul lavoro, ma non sono la causa di quelle morti, che rimangono legate ai modi di produzione, alle condizioni di lavoro ed alla cultura d'impresa dominante, che ricerca il profitto solo attraverso l'abbattimento dei costi sul lavoro e sulla sicurezza. Ecco perchè gli infortuni in itenere, devono essere considerati infortuni sui luoghi di lavoro a tutti gli effetti.

Semmai, sarebbe da fare un'analisi seria sul numero degli infotuni in itinere ed in genere nelle strade. Ma per fare un'analisi seria, occorrono appunto interlocutori altrettanto seri. L'ingegner Castelli non avrebbe i requisiti di base, per partecipare ad una discussione del genere.

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mercoledì 6 agosto 2008

Il lavoro uccide più dei criminali

Un rapporto del Censis fa sapere che in Italia si muore sul lavoro più del doppio che per omicidio (1170 morti sul lavoro, contro 663 omicidi). Se poi si considera la popolazione residente (oltre 59 milioni) e la popolazione occupata (poco più di 23 milioni), si nota che la probabilità di rimanere uccisi sul lavoro è 5 volte superiore a quella di essere vittima di omicidio.

E' una novità? No, non lo è. Ma leggendo gionali e siti internet, sono rimasto colpito da come la notizia è stata diffusa, quasi fosse una novità assoluta. Ed invece quei dati sono conosciuti, arcinoti, disponibili da tanto di quel tempo che è imbarazzante doverne parlare ancora. Non voglio dire che non debbano essere diffusi. Quello che voglio dire è che sono preoccupato dal fatto in sè, che il rapporto Censis sembra abbia rivelato chissà quale verità. Significa cioè, che quel rapporto ha di fatto messo in luce quanto gli umori delle persone siano manipolati e di come la politica insegua quegli umori e li fomenti, così da distorglerli dai problemi reali. E perciò di quanto il contrasto alle cause delle morti sul lavoro e di ogni altra reale emergenza, siano ostacolati da un atteggiamento politico che anzichè affrontare le effettive questioni di interesse generale, genera pregiudizi e cavalca l'ignoranza del popolo bue.

In qualche commento sui quotidiani di oggi, si legge la domanda provocatoria al ministro La Russa ed al governo di cui fa parte, se non sia il caso di mandare l'esercito nei cantieri. Ovviamente è una provocazione ed ovvimente i soldati non sarebbero granchè utili nei luoghi di lavoro. Direi meno che nelle strade e meno che a presidiare le discariche. Ma è una provocazione che dovrebbe fare riflettere su un dato: con un tasso di criminalità tra i più bassi in Europa, l'Italia occupa circa 300.000 addetti all'ordine pubblico. Per contrastare le cause di morte sul lavoro, sono disponibili meno di 2000 tecnici della prevenzione ASL. Nonostante tutto però, viene percepito come rassicurante la presenza di 3000 soldati nelle strade, ma non sembra interessare granchè l'assenza di controlli nei luoghi di lavoro.

Sostanzialmente e senza intenzione di voler banalizzare, è più sicuro girare di notte per strade poco illuminate, anzichè andare al lavoro. Si rischia meno a prendere una metropolitana dopo l'ora di cena, anzichè a salire su un ponteggio.
Non ho fatto esempi a caso. La strada e la metropoitana, sono due luoghi sentiti come tra i più pericolosi. Mentre si è soliti sentirsi fortunati ad avere un lavoro, uno qualunque, a qualunque condizione. Si diceva una volta che bisogna lavorare per vivere. Ma in Italia la disoccupazione sembra essere la migliore tutela da una morte violenta.

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martedì 5 agosto 2008

Esercito nelle strade: non mi sento affatto tranquillo.

Da quanto tempo ormai si parla di emergenza criminalità? Ovviamente ci si riferisce alla criminalità di strada. Quella, tanto per capirci, fatta di piccoli spacciatori, balordi che scippano vecchiette, ubriachi molestatori. Quella che dicono essere fatta da rom, rumeni, extracomunitari in genere e che, se appare insufficiente, può essere fatta anche da capelloni, frequentatori di centri sociali, punkabestia e pure alieni. L'importante è che appartenga ad una qualsiasi categoria, oltre lo stereotipo della personcina perbene. Questo tipo di criminalità da quanto tempo è emergenza? E' difficile dare una data precisa. Si può dire, però, che è emergenza da un tempo sufficiente a fare accettare 3000 soldati nelle strade.
L'effetto di questo provvedimento quale sarà? Semplicemente mediatico.

Tanto che Berlusconi parla già di riduzione della criminalità. Non fa numeri, ovviamente, visto che i dati ufficiali e scaricabili dal sito del ministero dell'interno, parlano di criminalità in diminuzione da diversi anni a questa parte. Dati alla mano, non troverebbe giustificazione alcuna a mandare l'esercito a pattugliare le città, da fare somigliare le strade italiane a quelle del Cile di Pinochet.
Mi chiedo se nella pratica ed al di là della pura propaganda, con l'esercito nelle strade, un operaio si senta più sicuro nel salire su un ponteggio. Se un mamma si senta più tranquilla, sapendo che il proprio figlio lavora in nero in un cantiere edile senza tutele, ma con i parà davanti alle ambasciate. Chissà se i lavoratori si sentono maggiormente garantiti dall'erosione del potere d'acquisto del loro salario, ora che uomini in divisa pattugliano le strade.

I problemi, quelli veri e reali, non si risolvono con uomini in mimetica per le strade, che tra l'altro non sono addestrati per quegli scopi. Tanto per fare un esempio, l'utilizzo dell'esercito ha forse risolto il problema rifiuti in Campania? No. Però l'effetto annuncio è passato, in Campania per i rifiuti, come in tutta Italia ora. E l'annuncio è: "Da oggi non si scherza più!". Da oggi, le decisioni prese dal governo e le sue intenzioni, saranno fatte rispettare anche con l'uso della forza di un'esercito nelle strade. Che oggi è composto da 3000 soldati, ma domani, semplicemente apponendo una firma in calce ad un decreto, potrà essere un numero molto maggiore. L'importante è il rispetto delle decisioni prese dalle autorità. Un rispetto che deve essere fatto di ubbibienza silenziosa, come già aveva ricordato Berlusconi in occasione della conferenza stampa a seguito del primo consiglio dei ministri a Napoli. E guai a chi protesta.
Non so voi, ma io non mi sento affatto tranquillo.

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domenica 3 agosto 2008

Se la politica non conosce gli ambienti di lavoro. Lettera di Marco Bazzoni e Andrea Bagaglio

Marco Bazzoni mi invia questa e-mail che pubblico volentieri e dalla quale si evince che sulle morti sul lavoro c'è, al meno peggio, un po' di confusione nel mondo politico e, per certi versi, non si può non notare un'atteggiamento politico strumentale, orientato alla tutela delle aziende dalle sanzioni, piuttosto che della salute e sicurezza dei lavoratori.

Nella trasmissione televisiva “Tv7” del 1° agosto scorso, condotta da Sassoli, si è parlato di morti sul lavoro alla presenza degli onorevoli Damiano (ex ministro del lavoro) per il Pd e Lupi per il Pdl. In studio era presente la signora Mulas, che ha rievocato ancora una volta (la prima è stat nella trasmissione “Ballarò” del 23 gennaio 2007) la tragica vicenda che ha colpito drammaticamente la sua famiglia per ben due volte, prima con la morte di un figlio (nel 2000), poi con quella del marito (l’anno dopo), avvenute entrambi in un cantiere edile.
Di queste morti la signora non ha mai avuto giustizia, sia perché la prima impresa si è data fallita prima della sentenza di colpevolezza, sia perché, per la morte del marito, si stanno avvicinando i termini di prescrizione (6 gennaio 2009). La signora Mulas ha chiesto in modo accorato giustizia e più controlli nei luoghi di lavoro.
A tale richiesta l’ex ministro Damiano ha rivendicato la bontà del “Testo unico” sulla sicurezza nei luoghi di lavoro emanato dal suo dicastero, nonché l’assunzione di 1400 ispettori del lavoro. L’onorevole Lupi, invece, ha ribadito la tesi del Pdl, ovvero che per far diminuire gli infortuni sul lavoro basta la buona volontà degli imprenditori.
Purtroppo al dibattito non erano state invitate persone che, come noi, hanno vissuto e vivono quotidianamente l’ambiente di lavoro. Per tale motivo, ci permettiamo per l’ennesima volta di ripetere all’onorevole Damiano, che le assunzioni da lui fatte riguardano la Direzione provinciale del lavoro (ex ispettorato del lavoro) che controlla le evasioni contributive e, al massimo i cantieri edili, previo il consenso delle Asl, deputate per legge alla verifica dell’applicazione delle norme antinfortunistiche in tutti, ripetiamo tutti, i luoghi di lavoro. Damiano ha citato le stragi sul lavoro di Fossano e di Campello sul Clitunno. Vorremmo ricordare che i suoi ispettori, per legge, non avrebbero mai potuto varcare i cancelli per controllare le norme antinfortunistiche. Perché “spacciare” queste assunzioni come una delle risoluzioni del problema degli infortuni sul lavoro, mentre i tecnici-ispettori delle Asl continuano a diminuire?
All’onorevole Lupi invece ribadiamo che di fronte ad un mercato del lavoro selvaggio, ove il profitto e non la vita umana è il bene più prezioso da salvaguardare, i controlli e le sanzioni sono gli unici deterrenti che possono porre freno a questa strage degli innocenti. E in questo siamo concordi con la signora Mulas.

Marco Bazzoni - Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
Andrea Bagaglio - Medico del lavoro

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2 agosto 1980 ...

2 agosto 1980, ore 10,25, una bomba esplode nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna ...

* Antonella Ceci, anni 19
* Angela Marino, anni23
* Leo Luca Marino, anni 24
* Domenica Marino, anni 26
* Errica Frigerio In Diomede Fresa, anni 57
* Vito Diomede Fresa, anni 62
* Cesare Francesco Diomede Fresa, anni 14
* Anna Maria Bosio In Mauri, anni 28
* Carlo Mauri, anni 32
* Luca Mauri, anni 6
* Eckhardt Mader, anni 14
* Margret Rohrs In Mader, anni 39
* Kai Mader, anni 8
* Sonia Burri, anni 7
* Patrizia Messineo, anni 18
* Silvana Serravalli In Barbera, anni 34
* Manuela Gallon, anni 11
* Natalia Agostini In Gallon, anni 40
* Marina Antonella Trolese, anni 16
* Anna Maria Salvagnini In Trolese, anni 51
* Roberto De Marchi, anni 21
* Elisabetta Manea Ved. De Marchi, anni 60
* Eleonora Geraci In Vaccaro, anni 46
* Vittorio Vaccaro, anni 24
* Velia Carli In Lauro, anni 50
* Salvatore Lauro, anni 57
* Paolo Zecchi, anni 23
* Viviana Bugamelli In Zecchi, anni 23
* Catherine Helen Mitchell, anni 22
* John Andrew Kolpinski, anni 22
* Angela Fresu, anni 3
* Maria Fresu, anni 24
* Loredana Molina In Sacrati, anni 44
* Angelica Tarsi, anni 72
* Katia Bertasi, anni 34
* Mirella Fornasari, anni 36
* Euridia Bergianti, anni 49
* Nilla Natali, anni 25
* Franca Dall'olio, anni 20
* Rita Verde, anni 23
* Flavia Casadei, anni 18
* Giuseppe Patruno, anni 18
* Rossella Marceddu, anni 19
* Davide Caprioli, anni 20
* Vito Ales, anni 20
* Iwao Sekiguchi, anni 20
* Brigitte Drouhard, anni 21
* Roberto Procelli, anni 21
* Mauro Alganon, anni 22
* Maria Angela Marangon, anni 22
* Verdiana Bivona, anni 22
* Francesco Gomez Martinez, anni 23
* Mauro Di Vittorio, anni 24
* Sergio Secci, anni 24
* Roberto Gaiola, anni 25
* Angelo Priore, anni 26
* Onofrio Zappala', anni 27
* Pio Carmine Remollino, anni 31
* Gaetano Roda, anni 31
* Antonino Di Paola, anni 32
* Mirco Castellaro, anni 33
* Nazzareno Basso, anni 33
* Vincenzo Petteni, anni 34
* Salvatore Seminara, anni 34
* Carla Gozzi, anni 36
* Umberto Lugli, anni 38
* Fausto Venturi, anni 38
* Argeo Bonora, anni 42
* Francesco Betti, anni 44
* Mario Sica, anni 44
* Pier Francesco Laurenti, anni 44
* Paolino Bianchi, anni 50
* Vincenzina Sala In Zanetti, anni 50
* Berta Ebner, anni 50
* Vincenzo Lanconelli, anni 51
* Lina Ferretti In Mannocci, anni 53
* Romeo Ruozi, anni 54
* Amorveno Marzagalli, anni 54
* Antonio Francesco Lascala, anni 56
* Rosina Barbaro In Montani, anni 58
* Irene Breton In Boudouban, anni 61
* Pietro Galassi, anni 66
* Lidia Olla In Cardillo, anni 67
* Maria Idria Avati, anni 80
* Antonio Montanari, anni 86

sono rimasti uccisi in quella terribile esplosione.
La loro morte attende ancora una vera giustizia. L'Italia attende ancora di conoscere la verità storica di una strage che fù certamente fascista, nelle modalità e nelle intenzioni.

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