mercoledì 30 luglio 2008

"Fino a quando avrò fiato, mi batterò". Lettera di una donna a cui il lavoro ha ucciso un figlio ed il marito.

Marco Bazzoni, Rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza, mi ha inviato questa lettera, ricevuta a sua volta da una donna a cui il lavoro ha ucciso prima il figlio e, quindici mesi dopo, il marito.
Una lettera toccante, di una donna, la signora Franca Mulas, che a oltre 7 anni di distanza, attende ancora giustizia, per la tragica morte dei suoi cari.


Parole, parole, tipo questa: Giustizia. Dov'è? O forse sono io che non riesco a comprenderla?! Quante umiliazioni, quante beffe, quanti calci nel sedere, quanta sofferenza. Per che cosa?
Non sono una pazza, sono una mamma, una moglie. Parlo delle famose "morti bianche". Io nel giro di quindici mesi, ho perso due persone a me molto care.
Per l'esattezza, il 28 aprile del 2000, verso le otto meno dieci, mi squillò il telefono, era mio marito. Mi disse che stavano venendo a prendermi, si era fatto male Luciano (questo è il nome di mio figlio).
Arrivò un geometra, gli chiesi cosa era successo, ma lui mi disse che non sapeva niente. Non si arrivava più, la strada era lunga. Dentro di me le pensavo tutte: si è rotto una mano? Con i mezzi che ci sono oggi guarirà.
Arrivai al pronto soccorso, questo geometra mi disse di aspettarlo fuori, che chiedeva se era lì. Ero rimasta un bel po' fuori ad aspettare, poi uscì e disse: "Non è qua". Ma nel frattempo arrivò un'altra macchina e li c'era mio marito.
Ricordo ogni singolo particolare: arrivò un ambulanza, quello dell'ambulanza si arrabbiò, perchè c'era la macchina che aveva portato me li. Non so cosa si dissero, ma vidi quest'uomo allargare le braccia come chiedere scusa. Ma io non sapevo che proprio in quella lettiga coperta da un qualcosa di verde c'era il mio Luciano.
Quella maledetta mattina mio figlio e mio marito andarono a lavoro, perchè lavoravano insieme. Dovevano ricostruire un centro per anziani a Briosco (MI). Dovevano portare sul tetto delle travi, ma a 20/30 metri queste maledette travi si sono inclinate e sono scivolate giù. Sotto, nel cortile, c'era mio figlio e un altro
suo collega, e mio marito che guidava la grù. Incominciò a urlare di spostarsi, il suo collega si salvò, invece mio figlio venne preso in pieno dalle travi, e morì sul colpo.
Nel processo mi sono costituita sia parte civile, che penale. Condannarono il principale, e lui fece ricorso in appello a Milano. La condanna fu confermata, ma il carcere non l'ha mai fatto, anzi il giorno dopo era nel cantiere che continuava tranquillamente a lavorare, e io non ho ricevuto nessun risarcimento.
Ancora oggi, 7 luglio 2008, di mio figlio non ho preso un centesimo di risarcimento.
Cambiarono cantiere dopo un pò di mesi, andarono a lavorare a Varese.
Mio marito che aveva sempre fatto il capocantiere, dalla morte di nostro figlio
Luciano, non ne volle più sapere di farlo.
Un giorno era a Varese a lavorare, e mi chiamò, e mi disse: "Chiama l'Asl di Varese e chiedi cosa devi fare per un ponteggio che non è a norma, ma non dirgli chi sei". Io chiamai subito, ma invece gli dissi chi ero, e che non volevo che succedesse qualcosa a mio marito, visto che 15 mesi prima aveso perso mio figlio.
Tre/quattro giorni dopo, io non ero in casa (ero andata a prendere un quadretto). Quando tornai a casa c'erano un pò di chiamate in segreteria. Feci il primo numero, mi rispose l'ospedale, ma siccome ero io che chiamavo continuavano a dirmi cosa volevo, e io che gli dicevo: "Ma non mi avete chiamato voi?" Ma la risposta fu: "Quando sa cosa vuole richiami". Feci l'altro numero, era lo zio, io gli dissi: "Come mai mi chiami la mattina se sai che Gianfranco (è il nome di mio marito) è a lavoro?". Lui cominciò a chiamarmi per nome: "Franca, Franca!!". Li capii che c'era qualcosa che non andava, e gli dissi, fammi il nome, perchè io ho altri 5 figli. Mi fece il nome di Gianfranco: misi giù il telefono e richiamai l'ospedale. Mi rispose la stessa persona, quasi scocciata, e mi disse: "Se non sa neanche lei cosa vuole, cosa ci posso fare io?". E io gli risposi: "Adesso lo so, hanno portato li mio marito". Lui mi rispose: "Aspetti un attimo", e mi misse una musichetta di attesa.
Dopo un bel pò mi rispose un medico, dicendomi di andare subito li perchè mio marito era grave. Chiamai invano l'ufficio dove lavorava mio marito, ma non ebbi risposta.
Verso mezzo giorno rispose il geometra. Io ero molto arrabbiata, e gli dissi: "Non vi
siete neanche presi la briga di chiamarmi", ma nel frattempo arrivò anche un cugino di mio marito, gli dissi di venire con me. Mi portò al cantiere, li c'erano già quelli del sindacato, e gli dissi: "Vi prego, non lasciatemi sola, devo fargliela pagare". E questo geometra continuava a dirmi che non sapeva dov'era l'ospedale. Ma quelli del sindacato mi dissero: "La portiamo lì noi".
Vidi il cartello rianimazione, e entrai. Mi chiesero cosa volevo, e gli dissi: "Hanno portato qua mio marito". Mi risposero: "Qua oggi non è arrivato nessuno". Subito dopo qualcuno mi disse: "Vieni qua". Ancora pronto soccorso, entrai in una stanza, c'era una barella e una sedia a rotelle. Il medico mi girò verso la sedia e allargò le braccia: "Non c'è l'ha fatta".
Destino crudele, stessa ora, stessa telefonata, quel dannato ponteggio aveva portato via anche mio marito. Quando me l'hanno fatto vedere era già dentro una cella frigorifera. A dieci giorni dalla morte di mio marito, mi diedero i 5 milioni di lire che mi spettavano di liquidazione di mio figlio.
Quando è morto mio figlio (il 28 aprile del 2000), abbiamo scoperto che l'assicurazione non era stata pagata. Il suo datore di lavoro è andato ad assicurarlo il 2 o il 3 maggio del 2000. L'assicurazione risponde, io non le do niente, perchè il giorno che è morto non era assicurato. A 4 mesi dalla morte di mio marito il datore di lavoro dichiara fallimento.
Un giorno al processo gli ho chiesto se lui di notte riusciva a dormire tranquillamente, e con la sua aria di strafottente mi ha detto: "Certo signora, perchè non dovrei dormire?". Due anni e mezzo fa il processo di mio marito era quasi finito. Sentenza finale: troppi colpevoli, tutto fa rifare. Il 23 luglio fa 7 anni che mio marito è morto, ma il processo è tutto da rifare.
C'è la prescrizione, e i miei avvocati dicono, che a sette anni e mezzo, sti signori, per non dargli un termine diverso, non verranno mai giudicati, ne puniti. L'Asl di Varese mi fece una lettera, scusandosi perchè non avevano personale, e non avevano potuto mandare nessuno a controllare il cantiere. E' questa la nostra bella Italia, uno va sul posto di lavoro per portare a casa il pane quotidiano, e invece ti portano via in una cassa, anzi in due, nel giro di 15 mesi: stessa impresa. Io mi chiedo: anni di processo per cosa???
Io ho pagato sulla mia pelle le mie disgrazie (anche a livello economico). Lo so che non potrò più riavere mio figlio e mio marito, ma pretendo giustizia.
Vorrei rivolgere delle domande a quelli molto in alto: Perchè devono succedere queste cose? Perchè oltre la disgrazia devi pagare anche per poter avere giustizia?E molto salato, per non arrivare mai ad una conclusione? Perchè durante i processi stai li tutta una giornata per sentirti dire: rinviato a dopo 3/4 mesi? I morti sul lavoro sono degli eroi.
Sono stanca, perchè non sono mai arrivata a dire: "Si, la giustizia funziona, si, la giustizia c'è". Mio figlio Luciano aveva solo 22 anni, e mio marito Gianfranco solo 41.
Certe cose ti cambiano la vita, e la mia si è proprio ribaltata, ma devi andare avanti per i tuoi figli, perchè queste cose non accadano più, invece accadono tutti i giorni.
Se ci fossero più controlli e meno agevolazioni, secondo me ci sarebbero meno morti e infortuni sul lavoro. Se ci fosse una punizione giusta, forse ci penserebbero due volte prima di rifare l'errore.
Il mio appello: controlli, controlli, controlli, severità. Non dire mai la prossima volta, ma punirli severamente da subito, perchè quella delle morti sul lavoro è un bollettino di guerra.
Vi giuro che fino a quando avrò fiato, mi batterò con tutte le mie forze per avere giustizia.
Ringrazio tanto quelli che avranno la pazienza di leggere la mia lettera. Non voglio pietà, ma una vera giustizia, allora si che potranno riposare in pace anche i miei cari.

Franca Mulas.

6 commenti:

Anonimo,  30 luglio 2008 alle ore 19:17  

La mia piena solidarietà per Franca. Ho le lacrime agli occhi ed il cuore straziato da rabbia e dolore.

BC. Bruno Carioli 31 luglio 2008 alle ore 09:47  

Anche ieri una nuova sfilza di incidenti mortali e non.
Scajola inaugurando la centrale di civitavecchia parla di qualche morto.

Franca 31 luglio 2008 alle ore 10:36  

Il mio appello: controlli, controlli, controlli, severità

La soluzione sarebbe semplice. Basta volerla...

Anonimo,  31 luglio 2008 alle ore 13:09  

Sono incazzato come una belva, ma che cazzo fanno le organizzazioni sindacali?

Imagine 31 luglio 2008 alle ore 15:45  

ormai non si può costruire più niente se non muore qualche operaietto... l'ha detto anche scajola, le vite umane spezzate al pari dei mattoni

Crocco1830 31 luglio 2008 alle ore 20:16  

@ saamaya: è una storia assolutamente drammatica, intensa, che non può lasciare indifferenti ... padroni a parte, naturalmente e come descritto nella lettera.

@ bruno: certo, qualche morto a servizio dei profitti, fatti oltretutto sulla salute delle persone.

@ franca: infatti non sarebbe assolutamente complicato. Va bene la cultura sulla sicurezza, ma quando la cultura aziendale mira solo ed esclusivamente al profitto ...

@ cesco: praticamente niente. Finora solo qualche sciopericchio di un'ora o due.

@ imagine: è il tributo operaio al profitto d'impresa.

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